Ciao!
Questa è Mise en abyme e parliamo di cinema.
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COME STATE? io mi sento esattamente così, abbiamo anche la stessa frangetta. Nient’altro da dichiarare.
Cosa c’è da vedere a Roma?
LE ASSAGGIATRICI di SILVIO SOLDINI, un film di cui ho visto il trailer ovunque negli ultimi mesi, invogliandomi ancora di meno ad andare al cinema a vederlo. Di che parla? “Autunno 1943. La giovane Rosa, in fuga da Berlino colpita dai bombardamenti, raggiunge un piccolo paese isolato vicino al confine orientale. Qui è dove vivono i suoceri e dove il marito, impegnato al fronte, le ha scritto di rifugiarsi in attesa del suo ritorno. Rosa scopre subito che il villaggio, apparentemente tranquillo, nasconde un segreto: all’interno della foresta con cui confina, Hitler ha il suo quartier generale, la Tana del Lupo. Il Führer vede nemici dappertutto, essere avvelenato è la sua ossessione. Una mattina all’alba Rosa viene prelevata, assieme ad altre giovani donne del villaggio, per assaggiare i cibi cucinati per lui. Divise tra la paura di morire e la fame, le assaggiatrici stringeranno tra loro alleanze, amicizie e patti segreti. Rosa, la berlinese, fatica a farsi accettare. Ma quando finalmente vince la diffidenza verso di lei, accade qualcosa che la farà sentire in colpa. Un ufficiale delle SS, contro ogni razionalità e a dispetto di sé stessa, risveglia in lei l’amore. O forse il semplice bisogno di sentirsi viva, nonostante tutto”. Lo potete vedere alle 15.45 / 18.15 / 20.45 al Cinema Mignon (Zona Piazza Fiume).
NONOSTANTE di VALERIO MASTANDREA, reduce dalla sezione Orizzonti del Festival di Venezia 2024. Per questo film hanno creato una serie di poster bellissimi disegnati da alcuni artisti italiani, QUI il mio preferito (zuzu ti amo).
Ecco la trama: “Un uomo trascorre serenamente le sue giornate in ospedale senza troppe preoccupazioni. E’ ricoverato da un po’ ma quella condizione sembra il modo migliore per vivere la sua vita, al riparo da tutto e da tutti, senza responsabilità e problemi di alcun genere. Si sta davvero bene lì dentro e anche se qualche compagno di reparto si sente intrappolato, per lui ci si può sentire anche liberi come da nessun’altra parte. Quella preziosa routine scorre senza intoppi fino a quando una nuova persona viene ricoverata nello stesso reparto. E’ una compagna irrequieta, arrabbiata, non accetta nulla di quella condizione soprattutto le regole non scritte. Lui viene travolto da quel furore, prima cercando di difendersi e poi accogliendo qualcosa di incomprensibile. Quell’incontro gli servirà ad accettare che se scegli di affrontare veramente il tuo cuore e le tue emozioni, non c’è alcun riparo possibile.” Lo potete vedere alle 15.45 / 17.30 / 19.15 / 21.00 al Cinema Greenwich (Zona Testaccio).
SONS di GUSTAV MOLLER è un thriller danese reduce dal Festival di Berlino 2024. La storia è questa: “Eva, un’agente carceraria dai forti ideali, affronta il dilemma della sua vita quando un giovane del suo passato viene trasferito nella prigione dove lavora. Senza rivelare il suo segreto, Eva chiede di essere trasferita nel reparto del giovane, il più duro e violento del carcere. Così inizia un’inquietante thriller psicologico, in cui il senso di giustizia di Eva mette in gioco sia la sua moralità che il suo futuro”. Lo potete vedere alle 15.30 o alle 21 doppiato al Cinema Farnese (Zona Campo De Fiori).
GEN_ di GIANLUCA MATARRESE, documentario che racconta come all'ospedale pubblico Niguarda di Milano, il Dr. Maurizio Bini ogni giorno accompagna coppie infertili nel loro desiderio di diventare genitori e sostiene il percorso di chi intraprende terapie di affermazione di genere.
PUAN – IL PROFESSORE di MARIA ALCHE, BENJAMIN NAISHTAT racconta la storia di “Marcelo ha dedicato la sua vita all’insegnamento della filosofia presso l’Università pubblica di Buenos Aires, PUAN. Quando il suo mentore, il professor Caselli, muore inaspettatamente, Marcelo si aspetta di diventare il nuovo titolare della cattedra. Tuttavia, i suoi piani vengono stravolti dall’arrivo inaspettato di Rafael Sujarchuk. Carismatico e seducente, Rafael torna dal suo piedistallo nelle università europee per rivendicare per sé il posto vacante. I maldestri sforzi di Marcelo per dimostrare di essere il candidato giusto scateneranno un duello filosofico, mentre la sua vita – e il Paese – entreranno in una spirale di caos.”
Ora un po’ di rassegne sparse che mi sembrano cool:
Continuano le bellissime rassegne alla Casa del cinema (Zona Villa Borghese), c’è un programma fittissimo consultabile qui. Questa settimana c’è uno strano stop (non succede mai) e il prossimo film è direttamente il 31 marzo con una replica di The gold rush di Chaplin che viene presentato così: Tra i massimi titoli di gloria del cinema tout court, La febbre dell’oro nacque quasi per caso. Alla ricerca d’ispirazione, Chaplin s’imbatté un giorno in una serie di diapositive che ritraevano i disagi dei cercatori d’oro del Klondike. Di lì, il desiderio – come scrisse il grande regista – di rielaborare questi eventi tragici in chiave comica e paradossale. Chaplin riprende nuovamente il ruolo del vagabondo solitario e di buon cuore, che questa volta si avventura tra le remote montagne dell’Alaska col sogno di arricchirsi: tra avventure rocambolesche e imprevisti tragicomici, dovrà lottare per la sopravvivenza in un ambiente dove la miseria e la speranza di una vita migliore s’intrecciano con la solitudine e l’amore non corrisposto. Il risultato è un capolavoro immortale che mette in fila alcune delle più celebri gag di ogni epoca: il momento in cui Charlot, preso dai morsi della fame, addenta una scarpa arrotolandone i lacci, la sua trasformazione in pollo, la danza dei panini, la baracca in bilico sullo strapiombo, l’indimenticabile congedo finale. Beh, direi imperdibile. Costa dolo 5 euro.
Continuano le rassegne al Cinema Troisi, in ordine abbiamo il martedì alle 18 il cinema di Agnès Varda, il mercoledì alle 18 il cinema di Aki Kaurismaki, il sabato mattina il cinema di Leo Carax (sì, è nuova!) e domenica mattina sempre la retrospettiva dello Studio Ghibli. Qui tutti i film in rassegna.
Al Palazzo Delle Esposizioni (Via Nazionale) continua la rassegna, A qualcuno piace classico. Il 1 aprile alle 20 c’è Mouchette di Robert Bresson, che non ho mai visto. “In un paesino di campagna, l’adolescente Mouchette cresce nella miseria, tra la madre malata e il padre alcolizzato. Un pomeriggio, durante una tempesta, si perde nel bosco e viene accolta in casa da un bracconiere, che abusa di lei. Subito dopo Au hasard Balthazar Bresson torna con impressionante rigore alla storia di una vittima predestinata alla sofferenza, in un mondo dominato dalla sopraffazione dove il volere divino resta imperscrutabile”. Ingresso libero fino a esaurimento posti con prenotazione.
Raccontino-ino-ino:
riflessioni, frammenti, pensieri sul cinema e sul luogo-cinema
Un pezzo di Vittorio Renzi su L’albero di Sara Petraglia: “Quello che interessa, che dà un particolare colore a questa amicizia, è la sua cangiante e multiforme possibilità. Sono le domande che pone, il velo di ambiguità di cui si ammanta, lo spessore di cui è investita. Che è poi, diciamolo pure, l’unico spessore di un film altrimenti assai esile, volutamente “piccolo”. E che però ha il coraggio di mostrare, senza un filo di remora o di giudizio, due ragazze benestanti che per noia, mancanza di prospettive o entrambe le cose, si danno alla droga, la usano, ne abusano. E sono davvero tante le pasticche e le sniffate, a partire dalla divertente “gita” a San Basilio – o le capatine al Fanfulla (curiosa la scena con la cantante la cui modulazione vocale e le cui movenze ipnotiche sembrano omaggiare la compianta e lynchanaJulee Cruise di Twin Peaks). Senza alcuna autoflagellazione successiva, senza nessuna chiusa punitiva. È la dichiarazione antiretorica di una voglia di (in)dipendenza: lasciateci libere di fare errori. Nessuna catarsi, nessuna catechesi. Il fatto che il film non si ponga come un pamphlet di alcun tipo non sminuisce la portata di questa posizione, in un’epoca, la nostra, così reazionaria e piagata dall’ipercorrettismo. Non è un caso se nel film non esistano in pratica figure di adulti, di sguardi normativi, o anche etero-normativi: i pochi ragazzi presenti sono sfocati e di poco conto, ma non per questioni di genere/gender. Semplicemente, lo sguardo appartiene tutto a Bianca. A Bianca sola, non ad altri, non alla sua generazione. Uno sguardo un po’ ombelicale? Forse, ma se lo dice da sola. O meglio, glielo dice Angelica. E qui si torna al punto di partenza”.
Un pezzo sulla traduzione in cinese di Finnegans Wake di Joyce. Non c’entra niente con il cinema ma io sono pazza di Enrico Terrinoni, critico letterario ed esperto di Joyce. Eccoci: “Forma, forme. Ecco il dilemma. Perché nel Finnegans Wake nuove forme sono sempre nuovi modi di rimodellare il mondo tanto quanto la Parola. Uno dei più grandi giochi di parole riguarda un altro maestro e inventore del linguaggio, William Shakespeare, che nel libro di Joyce diventa Shapesphere. Chi è questa nuova entità? Un plasmatore di sfere o forse di paure? O entrambi? Tali mutazioni di forma si compiono nel testo di Joyce in nome della simultaneità, che è una caratteristica molto orientale del libro. Ecco alcuni esempi. Il sanscrito, una delle lingue dei testi sacri vedici antichi ma anche buddisti, nel libro dei cambiamenti del Ventesimo secolo da “sanscrito” diventa “sanscreed”. Forse un nuovo santo (san in italiano), perde letteralmente (sans è “senza” in francese) un credo, diventando così quasi il suo opposto. Questa è la “simultaneità” nella letteratura del futuro. O, se preferiamo usare un gergo quantistico, questo è un esempio di “sovrapposizione” letteraria. Nel Wake il concetto di simultaneità è immortalato in alcuni passaggi importanti. Prendiamo quello che succede con due fratelli esemplari nel libro, Burrus e Caseous (in un altro caso, altri gemelli sono chiamati siamesi, ma la parola che Joyce usa lì è “soamheis”, qualcosa che condensa l’espressione “as I am so he is”, “come io sono così lui è”). I due fratelli gemelli qui non sono stati in grado di districarsi, ma, ciò che Joyce scrive cripticamente è che “have not seemaultaneously sysentangled themselves”. In questa espressione abbiamo tante cose, forse troppe. Per cominciare, c’è il verbo inglese “to seem”, che indica il fatto che la simultaneità è solo simultaneità apparente (Einstein sarebbe d’accordo). Poi abbiamo il prefisso greco per “con, insieme” (sy-), e curiosamente una parola tedesca per “bocca” o “muso” (maul). Infine, abbiamo un gioco di parole sull’inglese che ci parla di “entanglement districati”, quasi a voler ribadire che nessuno può dissolvere ciò che il creatore, o meglio, l’artista ha unito”.
Ho scritto un pezzo per Lucy - sulla cultura sui 50 anni della Pimpa! qui un pezzetto: Il fascino di Pimpa è proprio nel suo approccio unico alla realtà che la circonda: tazze, bicchieri, poltrone, tende, il burro e il pane, i fiori d’arancio come il sole parlano. È un mondo in cui ogni cosa – viva o animata – ha una propria voce e una propria identità. Questo universo in cui tutto può parlare e interagire è una rappresentazione perfetta di un animismo infantile, in cui l’oggettività si trasforma in soggettività attraverso lo sguardo curioso e attento della protagonista. Come sottolineato dallo stesso Altan: “Pimpa pone domande e ciò che fino a quel momento era chiuso in una silenziosa identità, improvvisamente acquista parola e comincia a parlare”. Gli oggetti si risvegliano grazie allo sguardo attivo della Pimpa, lo stesso che avevamo noi da bambini: chi è che non parlava con gli oggetti di casa? chi è che non dava nomi propri alle cose intorno a sé? c’è chi lo fa ancora, scrive Shirley Jackson: “Sono convinta che la piastra per le cialde, se non viene tenuta sotto controllo, strangolerà il tostapane, e che l’elettricità emanata dalle prese di corrente ti si riverserà sulla testa; niente riuscirà a farmi cambiare idea”. Il materiale per l’accesso a un mondo fantastico è già tutto intorno a noi, c’è solo bisogno di fare quello scarto di cui parlava Rodari. […] La Pimpa è come noi, o meglio, è come vorremmo essere, perché la sua è una vita senza lavoro, senza sfruttamento, in armonia con la sua comunità sempre in espansione, e l’unica cosa che sembra produrre è l’esperienza stessa della realtà. Una cagnolina che zampetta in un tempo liberato e conseguentemente anti-capitalista. Quando hanno chiesto ad Altan come riesce a trattenere insieme due mondi così diversi (quello della Pimpa e quello di Cipputi, il suo cinico uomo comune) ha risposto che il mondo di Cipputi è com’è nella realtà, il mondo della Pimpa è come dovrebbe essere. Allora per forza “noi come la Pimpa”, perché la Pimpa riesce a fare un gesto di risignificazione fantastica in cui il mondo prende una forma diversa, più giusta per tutti e tutte. Domenica 30 marzo sono a Bologna in Salaborsa all’apertura della mostra della Pimpa.
Per oggi è tutto, ci sentiamo tra due settimane.
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