#22 retrospettive, letture, film nuovi e film vecchi
La città proibita, Dreams, Il caso Belle Steiner, Hokage & co
Ciao!
Questa è Mise en abyme e parliamo di cinema.
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Come state? qua si tira avanti e si aspetta l’inizio della primavera (ci siamo quasi!), sono immersa in un periodo di scrittura veramente serrato e veramente precario (come il umore nelle ultime settimane :D).
Bando alle ciance, ho visto al cinema Cuore selvaggio di Lynch e posso decretarlo il mio film preferito del regista (e uno dei film più romantici di sempre). Trovo sempre incredibile la capacità di contaminazione dei registri, se volessimo destrutturarlo: personaggi da penna comica, elementi di puro surrealismo fiabesco, scene di sadica violenza, è un roadmovie ma è anche una grottesca lettera d’amore al Mago di Oz. Evviva!
Ho letto una manciata di libri nelle ultime settimane: Piccoli preludi di Helen Garner (Nottetempo) è un breve romanzo degli anni ‘80 che racconta come il desiderio si annida negli interstizi del corpo ed è più forte di qualunque struttura sociale ben rodata (in un certo senso mi ha fatto pensare al film di Larraìn, Ema) e ha una capacità non scontata di descrivere come la luce illumina le cose (ho sottolineato nel libro tutti i momenti in cui l’autrice descrive gli eventi atmosferici e ha una grazia naturale); Invernale di Dario Voltolini (La nave di Teseo) è sempre un breve romanzo che parte dalle piccole storture, di come lo sguardo cambia, di come la malattia può essere lucida concentrazione, che dolore; Verdissime di Daniela Gambaro (Nutrimenti) è una raccolta di racconti sull’infanzia e l’adolescenza, l’autrice viene dalla scrittura cinematografica e si sente, non c’è nessun movimento letterario, è piatto e descrittivo. Mhh; Un bel po’ di saggi sull’animazione pre-scolare con i quali non vi ammorbo (sì, sto facendo ricerca per un progetto eheh).
In lettura: Specchio delle mie brama di Alberto Arbasino (Einaudi) è la mia lettura della colazione (sì, ogni mattina 5/10 pagine per iniziare meglio la giornata). Un coltissimo racconto lungo su una famiglia nobile siciliana, sesso torbido in salotti meravigliosamente arredati; Il fuoco che ti porti dentro di Antonio Franchini (Marsilio) è un romanzo di autofiction che racconta la vita e il rapporto con Angela, la madre dell’autore, sono ancora all’inizio ma mi sta piacendo; Scrivere femminista di Azélie Fayolle (NERO) come dice il sottotitolo “per un altro canone in letteratura” è un saggio sulla letteratura femminista e sul suo tentativo di liberarla dal genere (molto spesso definito “rosa”), e ipotizzando un vero e proprio canone alternativo, necessario e dignitoso come quello dominante (e maschile). Penso lo finisco a breve e attacco (sempre nell’ambito) il saggio Eroine di Kate Zambreno (Nottetempo).
Cosa c’è da vedere a Roma?
LA CITTÀ PROIBITA di GABRIELE MAINETTI, torna dopo Freaks Out (veramente un brutto film) e Jeeg Robot (ai tempi mi sembrava un bel film, ma non so cosa succederebbe se lo rivedessi oggi, il debole per Marinelli rimane obv) e fa tornare il genere in Italia. Ma di che parla? “Cina, 1979. Due genitori sfuggono all'obbligo del figlio unico mettendo alla luce le bambine Yun e Mei. Mei, la secondogenita, è però costretta a nascondersi sempre per evitare alla famiglia una denuncia. Salto temporale fino a metà anni Novanta: Mei si ritrova nella Roma multietnica del quartiere Esquilino, presso il ristorante cinese La città proibita. Quel luogo è la chiave della ricerca che l'ormai giovane donna ha intrapreso per ritrovare la sorella maggiore, che è diventata una prostituta nella Città Eterna. I destini di Mei si incroceranno con quelli di Marcello, giovane cuoco in un ristorante rivale di cucina tradizionale romana, rimasto insieme alla madre Lorena a gestire il locale dopo la sparizione di suo padre Alfredo. Annibale, un amico fraterno di Alfredo, cerca di dare loro una mano, anche perché detesta il proprietario di La città proibita e i tentativi degli immigrati di diventare "padroni in casa sua". Lo potete vedere al Cinema Moderno (Piazza della Repubblica) alle 17.20 o alle 21; al Cinema Madison (Zona San Paolo) alle 17.00/19.00/21.00 oppure al Cinema Barberini (Zona Via Veneto) alle 14.00 16.30 19.00 21.30.
DREAMS di DAG JOHAN HAUGERUD, ultimo film della trilogia sulle relazioni e appena reduce dal Festival di Berlino (si è aggiudicato l’Orso d’oro). Sono molto curiosa: “Johanne è una diciassettenne che frequenta le scuole superiori. Quando arriva un'insegnante che da subito si presenta come un'artista avverte per lei un sentimento mai provato prima. Finisce così per non pensare che a lei per poi riuscire ad entrare, almeno parzialmente, nella sua vita volendo convincersi che il proprio sentire sia ricambiato. Finirà con l'avvertire la necessità di parlarne non con una coetanea ma con la nonna scrittrice”. Ne ha scritto Lorenzo Ciofani per Cinematografo QUI. Lo potete vedere al Cinema Farnese (Zona Campo De’ Fiori) alle 15.30 doppiato oppure alle 14.00/15.40/19.40 al Cinema Barberini.
IL CASO BELLE STEINER di Benoît Jacquot, thriller-crime francese con Charlotte Ginsburg: “Pierre e sua moglie Cléa conducono un’esistenza tranquilla in una piccola città di provincia. Lui è un insegnante, mentre lei gestisce un negozio di ottica. La coppia ospita Belle, la figlia di un’amica. La loro vita viene completamente stravolta quando la ragazza viene trovata morta nella loro casa. Poiché Pierre era l’unico presente nell’abitazione al momento della tragedia, diventa l’unico sospettato. Subisce interrogatori umilianti dalla polizia, l’ostracismo dei colleghi e l’ostilità dei residenti della cittadina, dove tutti sanno tutto. Perché la domanda sulla bocca di tutti è la stessa: chi ha ucciso belle?” Lo potete vedere al Cinema Giulio Cesare (Zona Prati) alle 21.30 in lingua originale o doppiato alle 16.00/17.50/19.50.
HOKAGE - OMBRA DI FUOCO di Shinya Tsukamoto, film horror giapponese reduce dalla sezione Orizzonti di Venezia del 2023. Hokage riprende tematiche affrontate nei miei due film precedenti, Nobi e Zan: gli effetti della guerra sugli esseri umani e l’orrore di uccidere: “Un piccolo orfano si aggira nel dopoguerra nipponico in cerca di contatto umano e protezione, imbattendosi in tre figure emblematiche: una giovane vedova costretta a prostituirsi per sopravvivere; un soldato reduce dal conflitto mondiale e in preda ad una sindrome post traumatica che gli toglie il sonno e la voglia di vivere; e un venditore al mercato nero segnato dagli atti di disumanità che ha visto svolgersi intorno a lui al fronte, e ora intento a coltivare un oscuro desiderio di vendetta”. Lo potete vedere al Cinema Nuovo Aquila (Zona Pigneto) alle 15.45 o alle 21 in lingua originale. Una recensione di Valerio Sammarco sul Cinematografo QUI.
Ora un po’ di rassegne sparse che mi sembrano cool:
Continuano le bellissime rassegne alla Casa del cinema (Zona Villa Borghese), c’è un programma fittissimo consultabile qui. Le prossime due settimane c’è una lunga retrospettiva sul cinema di Bergman, ogni giorno potete trovare un film diverso. Il prezzo del biglietto è sempre 5 euro.
Continuano le rassegne al Cinema Troisi e se ne aggiungono altre due! In ordine: nuova retrospettiva di Agnès Varda [IMPERDIBILE]: mercoledì 19 c’è Le spiagge di Agnès [non è il primo film da cui partirei, ma ça va] + Aki Kaurismaki [INCREDIBILE] martedì 18 c’è La via boheme (che non ho mai visto, se riesco vado). Il prezzo del biglietto è di 8 euro [5 per gli under25], abbonamento 10 ingressi a 45 euro.
Sono le ultime settimane per vedere i film di Anderson (sabato 15 c’è Il filo nascosto + sabato 22 Licorice pizza, amatissimo) + Studio Ghibli (domenica 16 c’è Arietty + domenica 23 c’è La collina dei papaveri), per queste due rassegne il prezzo del biglietto è di 3 euro.Al Fanfulla (Circolo Arci in zona Pigneto) c’è la rassegna di cinema - o meglio di cinema - del martedì. Il 18 c’è Atlantide di Yuri Ancarani + martedì 25 c’è Il principe di ostia bronx di Raffaele Passerini. Ingresso gratuito con tessera Arci.
Al Palazzo Delle Esposizioni (Via Nazionale) continua la rassegna, A qualcuno piace classico. Il 18 marzo 20.00 c’è Strada sbarrata di William Wyler. Presenta il film Sergio Sozzo. Ma di che parla? eheh: in fuga dalla polizia, il gangster “Baby Face” Martin torna nei bassifondi dell’East Side di New York, dov’è nato. Qui troverà il sostegno di un gruppo di giovani teppisti, ma dovrà scontrarsi con un architetto idealista che vuole una nuova vita per il quartiere. In parte gangster movie, in parte dramma naturalistico, il film di Wyler è di certo in anticipo sui tempi per la sensibilità con cui raccoglie lo spirito sociale del New Deal rooseveltiano. Ingresso gratuito fino a esaurimento posti.
Raccontino-ino-ino:
riflessioni, frammenti, pensieri sul cinema e sul luogo-cinema
Su FatamorganaWEB un pezzo di Luca Bandirali su Gene Hackman: “In questa fase storica, la scena che forse riassume e restituisce il senso del fare cinema di Gene Hackman è la celebre conclusione del film La conversazione (1974) di Francis Ford Coppola, in cui il mago delle intercettazioni Harry Caul si scopre a sua volta intercettato, e smonta la propria abitazione alla ricerca di dispositivi di controllo installati a sua insaputa, per poi mettersi a suonare il sax tra le macerie. Il film avrebbe potuto raccontare una storia convenzionale, come suggerisce Geoff King, consistente nella «trasformazione di un individuo spinoso, maldestro e passivo in un protagonista attivo, un eroe»; ma invece ha fatto proprio il contrario. Ecco, probabilmente più di ogni altro attore fra quelli emersi nell’epoca della New Hollywood, Gene Hackman incarna la destituzione del progetto, la caduta dell’eroe come agente, la sua sopravvivenza come carattere in preda a circostanze ed emozioni non sempre controllabili".” Qualche giorno fa ho visto La conversazione al Quattro Fontane, che incredibile interpunzione musicale, che personaggio complesso (in alcuni punti le maglie della scrittura sono così larghe che non sembra riconoscere il personaggio che si sta guardando ossessivamente), che perfetta costruzione della suspense. Che bello.
Cristina Piccino scrive su ilmanifesto della vittoria di No other land agli Oscar: “«L’Oscar a No Other Land è è sconcertante. Mentre Israele lotta per difendersi dall’assalto più barbaro della sua storia – l’invasione guidata da Hamas del 7 ottobre … Hollywood ha ritenuto opportuno premiare l’ennesimo tentativo di delegittimare lo Stato ebraico» si legge su The Spectator. No Other Land però non fa propaganda – come la maggioranza di costoro – ma documenta nel corso degli anni la violenza di soldati e coloni israeliani che forti del loro potere si sentono legittimati a calpestare ndo qualsiasi diritto umano. Il villaggio a Masafer Yatta dove Basel vive e ha iniziato a filmare da ragazzino è ripetutamente aggredito direi con sadismo dagli israeliani che non si limitano a buttare giù le case ma tagliano l’acqua, distruggono le auto dei palestinesi, arrestano in modo arbitrario, piombano nelle abitazioni in piena notte, picchiano, minacciano, abusano. La pulizia etnica passa per la devastazione. «In Palestina il paesaggio e l’ambiente costruito non sono allegorie delle relazioni di potere ma il mezzo stesso del potere costituito. L’ambiente non è solo dove la guerra si svolge ma ne è il vero e proprio strumento» (Eyal Weizman, Spaziocidio, minimum fax). Quando un ragazzo palestinese, Harun Abu Haram, protesta perché i soldati hanno sequestrato un generatore questi davanti alla macchina da presa gli sparano lasciandolo paralizzato. Senza cure – non gli permettono di uscire dal villaggio – agonizza nella grotta dove la famiglia vive dopo la distruzione della casa e muore. È un documento non una ricostruzione, sono frammenti di esistenze colte nel loro essere quotidiano, in quella che è senza retorica una resistenza disperata e ostinata per amore: No Other Land, nessuna altra terra appunto.”
Su Rivista Stanca è uscito un bel racconto di Lorenzo Pedrazzi che contiene dentro una discutibile recensione sul biopic dedicato a Bob Dylan: “Mia madre, oltre alla procreazione, aveva un’altra fissa: i miei figli devono saper suonare uno strumento, diceva mentre la nostra governante anneggava il quinto gatto del mese perché aveva pisciato dentro un uovo Fabergè pieno di sabbia.
Mio fratello Arturo ha imparato l’arpa, ogni Natale decide di suonarcela per un set privato di cinque ore. La nostra cara nonna ci ha lasciato proprio a metà di uno di questi prodigi, l’abbiamo lasciata lì per le restanti quattro ore e mezza perché ci sembrava poetico morire con Thunderstruck in sottofondo.
Io, dal canto mio, suono il corno francese. Ma ora è il momento di modernizzarsi, mi son detto, la teoria ce l’ho, mi basterà fare un po’ di pratica.
Mi sbagliavo. Quanto è stato angusto imparare questo mandolino glorificato!
Così, per darmi coraggio, ho deciso di andare a vedere qualcuno che la suoni per bene. Potevo andare a vedere in qualche sala concerto, ma non le sopporto perché proprio in una di queste sulla quinta Avenue incontrai un uomo che mi disse che era andato a letto con la mia ex-moglie, io non sapevo chi fosse l’uomo e chi gli avesse detto chi ero io. Aveva una banana in mano e i pantaloni abbassati, un barbone di fianco a me mi dissi in ungherese, che al tempo parlavo fluentemente:«Ez Herbert Von Karajan mester».
Così sono andato al cinema a vedere il nuovo film su Bob Dylan, A complete unknown. Sul signor Dylan so poco, mi viene in mente solo un Dylan Thomas, poeta che piaceva molto a mio padre che ci voleva spronare con il fatidico rage, rage against the dying of the light quando esitavamo a massacrare di botte l’anatra che lui aveva sapientemente colpito con il cannone di famiglia.
[Nota di editore: Questa è la lettera bagnaticcia con titolo annesso che mi è pervenuta con la recensione che pubblichiamo. Ci sembrava necessario, come redazione, fornire del contesto sull’autore.]La grazia con cui si muovono le dita di Dylan sulle corde della chitarra sembra volerti invitare a vivere quei ruggenti anni sessanta, che tanto hanno cambiato: un decennio in cui tutti potevano permettersi un frigorifero, una macchina, la libertà di essere ciò che si è, quando si respirava ancora il sapore del sogno americano, credevamo ancora nella possibilità di un uomo di fare battute e ridere assieme davanti a un bel Madeira.
Il film segue la storia del musicista da quando arriva diciannovenne a New York (la Grande Mela!), era il 1961 e in mano aveva solo una chitarra. L’età dell’incoscienza, delle decisioni prese senza pensarci troppo, quanta nostalgia di quando volavamo in Economy per andare a Bali.
Arrivato in questa metropoli moderna, il regista James Managold ce la mostra in tutta la sua bellezza, asettica, statica, come un modellino Lego (trademark) in cui il protagonista si aggira come una figura simile a Cristo in attesa di folgorare tutti con la propria musica, l’altra vera protagonista di questo mondo creativo.
Infatti, la prima cosa che fa è andare a cercare di impressionare il suo eroe Woody Guthrie, cantante folk. Io lo conoscevo solo per quello sticker di cattivo gusto This machine kills fascists, tutto questo livore deve averlo costretto all’incomunicabilità e alla semovenza. Mai incontrare i propri eroi, avrebbero dovuto dire anche a me quando ho cercato di incontrare Mario Draghi alla fiera del caviale al tartufo di BlackRock in quel bellissimo casale comprato da una piccola famiglia di Alba e poi ristrutturato. Pensava fossi un giornalista, sigh.”
Per oggi è tutto, ci sentiamo tra due settimane.
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A presto!