#17 ottobrata romana
Familia, All we image as light, Joker: Folie à deux & il ritorno delle rassegne autunnali
Questa è Mise en abyme e parliamo di cinema.
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Come state? è arrivato ufficialmente l’autunno e questo ci fa rintanare nelle nostre case e nel nostro maledetto lavoro (come dite? se me la sto vivendo bene? BENISSIMO!). A proposito di rientro e FOMO, qui ho scritto una piccolissima riflessione per la rubrica del lunedì di Rivista Stanca.
FILM PREFERITO VISTO RECENTEMENTE: VERMIGLIO di Maura Delpero è un film bellissimo. Un piccolo racconto attraverso una minuscola finestra sul mondo: tre sorelle durante la seconda guerra mondiale nella campagna trentina. L’istruzione, la condotta, le dicerie, l’eccellenza, la convivenza con gli altri corpi, i letti vicini, le sigarette nascoste, i figli che continuano a nascere, i mondi che collidono senza che ne accorgiamo. Quando sono uscita dal cinema una signora stava al telefono (in vivavoce) con il marito e gli ha detto: è un film che mi ricorda certe pellicole iraniane ma soprattutto la mia infanzia contadina. È anche stato scelto come film italiano da presentare per gli Oscar 2025 <3
Cosa c’è da vedere a Roma?
Joker: folie à deux di Todd Phillips è uscito
ieri
(non so perché alcuni film iniziano a uscire il mercoledì invece che il giovedì) e racconta la storia di Arthur Fleck internato ad Arkham, in attesa di processo per i suoi crimini nelle vesti del Joker. Alle prese con la sua doppia identità Arthur non solo si imbatte nel vero amore, ma scopre anche la musica che ha sempre avuto dentro di sé. Come scrive il regista: Quando lavoravamo a Joker nel 2018 non avremmo mai immaginato che avrebbe toccato corde così profonde nel pubblico di tutto il mondo.Con Joaquin avevamo parlato di un sequel, ma mai seriamente, finché non abbiamo assistito alle reazioni che la storia di Arthur stava provocando. Sapevamo che per farne un seguito dovevamo superare noi stessi: volevamo creare qualcosa di folle e temerario come lo stesso Joker. Con Scott Silver abbiamo quindi scritto una sceneggiatura che approfondiva ulteriormente l’idea di identità. Chi è Arthur Fleck? E da dove viene la sua musica interiore? Lo potete vedere al Nuovo Cinema Olimpia (Zona Via del Corso) alle 15.30, 18.15 e 21.00 oppure alle 21.30 al Giulio Cesare (Zona Prati), entrambi in lingua originale. Questo cinema fa parte del Circuito Cinema che offre abbonamento YOUNG under28, 6 film a 20 euro.Anche Familia di Francesco Costabile è uscito ieri (!!!), opera seconda del regista dopo Una femmina, presentata al Festival di Venezia. Il film racconta di Luigi Celeste, un ragazzo di vent’anni che vive con la madre Licia e il fratello Alessandro. I tre sono uniti da un legame profondo. Sono quasi dieci anni che nessuno di loro vede Franco, compagno e padre, che ha reso l’infanzia dei due ragazzi e la giovinezza di Licia un ricordo fatto di paura e prevaricazione. Luigi vive la strada e, alla ricerca di un senso di appartenenza e di identità, si unisce a un gruppo di estrema destra dove respira ancora rabbia e sopraffazione. Un giorno Franco torna, rivuole i suoi figli, rivuole la sua famiglia, ma è un uomo che avvelena tutto ciò che tocca e rende chi ama prigioniero della sua ombra. Quella di Luigi e della sua famiglia è una storia che arriva al fondo dell’abisso per compiere un percorso di rinascita, costi quel che costi. Lo potete vedere al Cinema Intrastevere (ovviamente a Trastevere lol) alle 16.30, 19.00 e 21.30, il biglietto costa 8 euro.
Ora un po’ di rassegne sparse che mi sembrano cool:
Continua la retrospettiva del cinema di Paolo Sorrentino, tutte le domeniche mattina alle 11 al Cinema Troisi. Domenica 22 c’è Il divo e domenica 29 c’è This must be the place. Il biglietto costa 3 euro.
Nuova retrospettiva del cinema di Pablo Almodovar, tutti i sabato mattina alle 11 al Cinema Troisi. Sabato 21 c’è Tacchi a spillo e sabato 28 c’è Kika: un corpo in prestito. Il biglietto costa 3 euro.
Continuano le bellissime rassegne alla Casa del cinema (Zona Villa Borghese), c’è un programma fittissimo consultabile qui. Vi faccio un po’ di anticipazioni sparse: domenica 6 alle 11 c’è Padri e figli di Mario Monicelli, venerdì 11 ottobre alle 18 Cronaca familiare di Valerio Zurlini e alle 21 La notte di Michelangelo Antonioni, domenica 13 ottobre alle 11 c’è Ciao maschio di Marco Ferreri e alle 18 Cronache di poveri amanti di Carlo Lizzani. Il costo del biglietto è di 5 euro.
#Bonus track:
Alla Casa del Cinema da oggi a domenica c’è il Festival del Cinema Messicano, programma completo QUI.
Raccontino-ino-ino:
Mini recensioni approssimative di film attraverso grandi descrizioni di sale cinematografiche.
In questo periodo sto bazzicando poco la sala perché sono spesso in giro per lavoro, da lunedì al 18 ottobre sarò a Venezia, poi a novembre ancora farò la pallina da ping pong in giro per l’Italia (un classico). Quindi oggi vi prendete un meraviglioso pezzo scritto da Irene Frau su IlTascabile che si intitola “Per i poveri”:
Sono passati dieci anni dalla pubblicazione della raccolta Les années 10 (2014) di Nathalie Quintane, poetessa, attivista e insegnante francese. Due dei testi della selezione, Una visita di Marine Le Pen in provincia e Le preposizioni, sono stati tradotti e pubblicati di recente anche in Italia, sotto il titolo di Stand up (2020, Tic Edizioni, tradotto da Michele Zaffarano). Nella seconda parte del volume, la narratrice coincide con l’autrice che si interroga su quali siano le particelle linguistiche adatte a indicare il verso della relazione fra i poveri e chi non lo è, dal momento in cui si appartiene a un’altra classe, alla classe media o alla classe dei lavoratori intellettuali. Quintane prende in analisi l’uso della preposizione per e prosegue scartando una serie di pietismi grammaticali, assumendo come punto di partenza il riconoscimento del proprio status:
Non c’è in corso nessuna discussione con i poveri.
I poveri vivono nei loro angoletti, nelle loro periferie, nelle zone rurali più sperdute, dove solo i corvi arrivano a portare i rifornimenti. Io invece
me ne sto qua sul mio computer a battere tasti.
Chi decostruisce il linguaggio, è privilegiato; chi subisce il linguaggio, proviene dal margine. I poveri sono per strada, ma anche sugli schermi del cinema e della televisione o nei documentari. Le loro rappresentazioni sono il filtro tramite cui i non poveri possono comprendere chi sono le persone per le quali (o contro le quali) votano o protestano. Se linguaggio è ciò che plasma le rappresentazioni, decostruirlo, nei limiti del possibile, permette di avvicinarsi alla realtà, osservandola da prospettive fuori dall’ordinario. Nel linguaggio cinematografico, il montaggio è la grammatica entro la quale si dà forma alla narrazione ed è anche dalla sua decostruzione che hanno preso le mosse le avanguardie.
Trasporre sullo schermo senza “smorfiette”, come direbbe Quintane, le raffigurazioni della classe dei poveri, richiede l’adoperarsi non solo nella scrittura di un film, ma anche nella regia, nel montaggio, nella fotografia e in tutti quegli aspetti che possano sovvertire lo sguardo dello spettatore. Ne è un esempio Senza tetto né legge (1985). Agnès Varda non occupa il punto di vista di Mona, la giovane protagonista vagabonda, ma la segue. In cento minuti cadenzati da tredici carrellate che, nel loro fluire da destra verso sinistra, accompagnano l’errare senza meta della ragazza, in direzione opposta rispetto al senso di lettura occidentale. Ognuno di questi movimenti termina soffermandosi su un elemento equivalente a quello con il quale comincia la carrellata successiva: una macchina agricola e degli pneumatici, una finestra aperta e una finestra chiusa, una caterva di bancali di legno e il tronco di un albero. Varda organizza il lungometraggio con estremo ordine, senza che gli argini entro i quali i personaggi si muovono appaiano dotati di un senso univoco. Confonde alcuni generi cinematografici tra loro con l’accostamento di scene drammatiche, alternate a una sorta di reportage. La narrazione è disseminata di interviste ai personaggi entrati in contatto con Mona che riferiscono alla telecamera come ad un investigatore, ma senza rivelare niente di utile ai fini dell’indagine; ognuno di loro depone le proprie considerazioni sulla libertà.
In Senza tetto né legge Varda compone poesia in immagini crude, come Quintane scrive poesia in prosa, esercitando il suo sguardo sul mondo, sugli oggetti del quotidiano che osserva e descrive a partire dalla sospensione del giudizio, quasi in senso husserliano. La sua è un’indagine di tipo fenomenologico nella quale l’identificazione del narratore con l’autore biografico pone il soggetto narrante come un Io in opposizione dialettica al mondo, alle cose, agli oggetti materici e alle loro astrazioni. L’Io narrante di Quintane prende le distanze dal dispositivo letterario dell’autofiction, lavorando per sottrazione e lasciando che resti ciò che nello sguardo accomuna chiunque: una sorta di soggetto banale, nell’accezione arendtiana, e che occupa un punto di vista politico nel fare poesia. Ricerca e sceglie l’uso di un linguaggio modesto, capace di calcare sul reale contorno delle cose. Manifesta le sue intenzioni politiche fra le pagine di Pomodori (2010) dove racconta della sua esperienza ai festival di poesia, ponendosi contro ogni complicità richiesta dall’industria culturale e le sue logiche di profitto per le quali, se la letteratura non è accessibile alla massa, se il grande pubblico preferisce far festa, allora è la letteratura a dover diventare festa. La festa è il fantasma che:
Mette il sigillo chiude il sintagma dopo che hanno fatto girare tutti gli aggettivi tutti i nomi: lettura-performance performance letteraria (al festival En toutes lettres nel giugno del 2009) festa della performance (al festival Les bouquinades di Marsiglia sempre nel giugno del 2009).
Quintane scrive per liberare il linguaggio, la poesia, dagli elementi neo-liberali intromessi tra le righe dei libri in concorso ai festival di letteratura e tra il pubblico delle prime file. Per farlo, in Stand up si mette prima nei panni di Le Pen e poi in quelli dei lavoratori, corteggiati dalla leader di Rassemblement National prima, durante e dopo ogni campagna elettorale. Distingue fra i “poveri poveri”, quelli che stanno per strada, dai “poveri di montagna”, che scendono a valle per fare la spesa al supermercato, invasi da una gioia da supermercato e che, a loro volta, non sono rappresentati dai “poveri da televisione”. I poveri da televisione sono i poveri delle periferie, che partecipano ai sondaggi d’opinione, che piangono in diretta, asciugandosi le lacrime. E poi ci sono “i poveri da documentario”, con dei pensieri da documentario. I poveri da televisione appaiono come coloro che tentano di uscire dalla marginalità, aspirando alla celebrità. Rispetto ai non poveri, adottano un altro codice comportamentale, sono soggiogati da altre mode, vengono attratti da altri prodotti, popolano altre nicchie di mercato. Quintane li immagina con lunghissime unghie smaltate, seni rifatti e natiche rotonde come palloni da calcio, gonfi al punto giusto da attrarre uomini che indossano occhiali grossi con le dorature ai lati, pantaloni a vita bassa, felpa col cappuccio e scarpe Nike. Sono coloro che barattano le loro emozioni, piangendo e urlando davanti alle telecamere, in cambio di una vita alla quale altrimenti non potrebbero mai permettersi di ambire.
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Per oggi è tutto, ci sentiamo tra due settimane.
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